mercoledì 16 luglio 2008

UNA ROTONDA SUL MARE / IL NOSTRO DISCO CHE SUONA

Il bello della musica live è che si possono scoprire cose che prima non si conoscevano, e non solo a livello musicale, ma anche a livello sociale, politico e comportamentale. I concerti infatti sono delle autentiche scuole di vita in cui si imparano sempre cose nuove riguardo all'altra gente ma soprattutto riguardo a sé stessi, con tutto ciò che ne consegue in termini di rapporto con il prossimo e con la propria persona.
Tutto questo per arrivare a dire che, oltre a continuare a non sopportare la gente che fuma come una ciminiera durante i concerti che mi interessano (e pure a quelli che non mi interessano), ieri sera mi sono reso conto che non sopporto nemmeno chi ai concerti particolarmente affollati urta, spinge e con grande arroganza cerca di farsi largo in tutti i modi per poi magari piazzarsi proprio davanti a me ed ostruirmi la perfetta visuale che fino ad un attimo prima mi era garantita dall'ottima postazione guadagnata arrivando a destinazione con largo anticipo. Chi si comporta così è il solito italiano pizza mandolino e spaghetti, quello che non vuole fare la fila, non vuole pagare le tasse e cerca sempre una scappatoia perché crede di essere intoccabile, il solito italiota che dopo averti ostruito la visuale (perché generalmente è sempre alto e particolarmente ingombrante) inizia a saltare e magari a fumarti in faccia senza ritegno (o peggio, farti annusare l'ascella tonante – l'Ascella della Libertà, nel senso di Libertà dall'obbligo di fare la doccia e/o usare un buon deodorante). Nervi a fior di pelle e voglia di prenderli a schiaffi, ma non essendo Jean-Claude Van Damme meglio lasciar perdere e concentrarsi sulla musica.
Musica che ieri sera a Ferrara è stata nonostante tutto di alto livello. Hanno aperto la serata danzante i dEUS, un gruppo che ha finito la broda da anni ma riesce a nasconderlo molto bene. Dal vivo suonano più ruvidi e diretti, Tom Barman ha una presenza scenica inimitabile ed anche i brani degli ultimi loro due debolucci dischi reggono il confronto con il resto del loro repertorio, segno che oltre al mestiere c'è molto di più. The Architect (il supersingolo tratto da Vantage Point) è ufficialmente il brano più puttano del loro repertorio - roba che neanche il Moby dei tempi d'oro avrebbe mai osato neppure lontanamente concepire, roba che dal vivo lascia impietriti tutti i fan della prima ora, roba che forse hanno scritto per mere ragioni contrattuali ma che a me piace tantissimo – e il loro tastierista/violinista sembra un fuoriuscito dai Rammstein ma riesce a non fartelo pesare, e tutto questo non può che giocare a favore della grande band belga.
Gli Interpol mi rimangono invece un tantino irrisolti: per carità, sono bravissimi ed il loro è stato un bel concerto, però cheppalle! Non un colpo di scena, non un'uscita dalle righe, non una sbavatura, non un'improvvisazione, non un particolare fuori posto. Ed oltretutto, non una benché minima differenza da ciò che si sente su disco: se al loro posto qualcuno avesse messo sul palco un giradischi e i loro dischi sarebbe stato uguale. L'unica soluzione sarebbe stata avere molto più tempo a disposizione e dilatare la loro esibizione lungo un arco temporale di sette o otto ore: ogni tre brani degli Interpol venti minuti di dj set di musica altra, tanto per far riprendere le forze al pubblico e distrarlo un pochetto. Ma purtroppo non si può fare cose del genere, sennò la gente ci rimane male.
Che poi invece il pubblico ha gradito parecchio, tanto che pareva quasi di essere ad un concerto del Liga e gli energumeni davanti a me saltavano ed alzavano le mani al cielo. Si torna sempre lì, al fatto che la gente che ostruisce la visuale ai concerti andrebbe tolta dal mercato, ma anche al fatto che devo rendermi conto conto che ai concerti si va anche (e soprattutto) per divertirsi. Il rap per me è fare finta ma non fare finta. Faccio finta di far finta, in realtà il rap per me è dire cose che non credo, vedere cose che non vedo (cit.). E dunque probabilmente devo tacere.

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