martedì 18 gennaio 2011

Julio Iglesias e Giulietto Chiesa sono la stessa persona, li avete mai visti assieme? (chi dice “stile” e ti lama nella Scena è una iena)














Tempi grami per la libertà di stampa in Italia. La conferma per una volta non è Farina delle scelte di campo e di officina dei sallustri direktori prezzolati dal neomoroso Silvio, ma dall'insospettabile Repubblica, testa di ponte di quella sinistra salentina dentro, che malversa l'informazione e perde regolarmente le elezioni: a piazza Indiependenza hanno censurato addirittura Ernesto Assange, depennando il live report dal concerto dei Pooh. Il decano della stampa musicale non allineata e con la schiena dritta è colpevole, agli occhi di Ezio Massimo Mauro Di Francesco e della sua cricca radical chic che strizza l'occhio ai black bloc appena sorge il sole, di aver scritto quello che tutti pensano, ovvero che Dudi Piersilvio Battaglia, Robi di Kappa Facchinetti e Red & Toby Adriano Canzian siano anche gradevoli su disco, ma in concerto peccano di didascalia, non riuscendo a riprodurre sul palco tutte le frequenze sovraincise in studio dalle loro 32 Ibanez. “Decisione unanime perché incompitabile (sic) con la linea editoriale del giornale”, questo il timbro sgrammaticato dell'ignominia che annulla le voci scomode e dà voce solo al pensiero unico, quello che si ciba del peggior gossip su Rubyn Kanzian -parente di Red, e poi dicono dei favori del sindaco Alemagna- per screditarla lungi dall'essere decisiva nell'imminente campagna elettorale.

Ma da quell'organo libero e senza padroni che siamo, a Spadrillas In Da Mist concediamo asilo ad Ernesto Assange riconoscendo in lui uno spirito critico che (a differenza dei Luca Valfrutta e dei Gino Castoldi Dalai) non ha peli sulla lingua e se li ha non sono i suoi. Vergogna, a quella pubblicazione che anticipa ai propri redattori cosa scrivere, coprendosi dietro i teli Cerati per celare sphrazzi di verità ai propri lettori ciechi e sordi, privi di santi in paradiso.

Benvenuto nella brigata di liberazione nazionale, compagno Ernesto Assange!


Ci vorrebbe Cristiano Lucarelli che dopo ogni gol salutava la curva a pugno chiuso gli ultras del
Livorno, per scrivere certe recensioni. Uno studio televisivo in penombra, una striscia di stagnola, una biro, dell'ottimo crack, polmoni d'acciaio, inquietanti sagomati in bianco e nero sullo sfondo, il goleador livornese che struscia ed aspira ponendosi inquietanti interrogativi. Perché i Bluvertigo dal vivo annegano il loro pantano di filtri ed effetti in un surrogato pulitino dei New Order? Perché Enrico Ruggeri abbandona i suoni in bassa fedeltà per un garage uguale a mille? Perché i quattro Pooh di Bergamo (Steve Ferrone è mero italo-negro, suonare è ben’altra cosa…) vengono descritti dalla stampa come indie intrisi di Silver Rocket e My Scatty Morandy e su un palco ti ricordano i Negramaro e i Comunione On Liberazione? Effetto Pitchfork o meno, sembrava di avere sul palco i Decibel più svogliati, brit-pop-rock con la Cool List di fine anno sullo sfondo e dozzinali universitari che ci passeggiano come ad andar per funghi allucinogeni. E le emozioni? E le passioni? E i fasci che menano peso e poi hanno spazio ovunque, anche fra i libri e al cinema? E Canale Italia che apre sul digitale terrestre Canale Italia Musica e sul suo sito scrive “Canale Italia Musica intercetta un pubblico giovane e dinamico. Una sorta di DJ Television con i video clip delle canzoni più belle del momento integrata con un crawl ricco di tante informazioni” senza che nemmeno si sappia cosa c'entri la parola crawl? In mancanza del bomber toscano, le soluzioni che appaiono agli occhi del mero cronista imbrattacarte sono due. La prima: la stampa musicale (e chi parla di musica in generale, tv comprese) è in mano a un manipolo d’incompetenti che i dischi neanche li sente e scrive nomi e parole a vanvera per i nostalgici di tutto con il peso specifico di niente. O magari i nomi li piazza lì a caso sperando di impressionare ragazzini che questi nomi neanche li conoscono, perché – si sa – il pubblico indie è un pubblico giovane e dinamico che un anno impazzisce per un gruppo e l'anno dopo lo infama e/o lo ricopre di merda, sempre senza essere consapevole che questo gruppo non ha inventato nulla e si è limitato a copiare musica del passato. La seconda: Roby Facchinetti e soci dovrebbero evitare di far dischi che poi non sanno suonare. Studiati e post-prodotti, effettati e spacciati per dogmi, che piacciono ai ragazzi indie ma poi l'anno prossimo non piaceranno più e verranno infamati dalla Scena, pronta ad accogliere un nuovo clone da ricoprire di merda al prossimo giro. Comunque la si pensi, questa resta una storia di merda. Italia di merda,come cantavano i Cripple Bastards mentre qualcuno del loro pubblico si faceva in vena poi si lanciava nel pogo. L'unico pubblico genuino è quello lì.

Ci vorrebbe Selvaggia Lucarelli per scrivere certe recensioni. Ci vorrebbero più Morgan nella critica musicale italiana. O forse anche solo la roba che si è fatto Enzo Baldoni e Castoldi detto appunto Morgan nel suo studio: una bella pera (o una Peroni) in penombra (o in perombra, o in peritonite, o una soluzione di perossido di azoto come si faceva il mio amico Ebrezza quando stavamo in panchina nella locale squadra di basket di Copparo), per arrivare a vedere della roba tipo quattro cinegri inquietanti e scambiarli per Kato l’assistente dell’ispettore Closeau che mette su un gruppo trendy di cui arriva anche a parlarne un giallista della bassa parmense su radio deejay? Perché come si chiedeva Elio se la mucca fa “muu” il merlo non fa “mee”? Perché i Blanc Dogs dal vivo annegano il loro pantano di filtri ed effetti in un surrogato pulitino dei New Order, per dire una frase copiata a caso da un pezzo a caso che ci sta tutta? Perché Crystal Waters e Roger Waters abbandonano i suoni in bassa fedeltà per affittarsi un garage uguale a mille altri per tentare di importare il crack sulla riviera romagnola? Con tutti gli yogurt che c’erano c’era proprio bisogno di Yoplait? La risposta a questi inquietanti interrogativi non è su Rieducational Channel, ma ci vorrebbe di certo una riforma alla Pol Pot con Morgan ministro e i Ministry Ministri, una riforma veramente rieducativa. I nuovi Pooh con Steve Ferrone (uno che ha suonato con Duran Duran, Metal Carter, Claudio Baglioni e Scritti Polittti, che sembra l’unica cosa falsa di sto pezzo invece è tutto vero, lo ho appena scoperto su wikipedia e posso far finta di averlo saputo da sempre) vengono descritti dalla stampa nella loro svolta indie, intrisi di Jesus And Paul Chain e My Bullet for My Valentine e su un palco ti ricordano i The La’s e i High On Fire? Effetto Pitchfork o meno, sembrava di avere sul palco i Creeps dopo la pace coi Bloods dopo la rivolta di Los Angeles del 1992 quando Ice T si esaltava, solo più svogliati, brit-pop-rock con la Cool List di fine anno sullo sfondo e dozzinali universitari leccesi di cui è già stato detto più volte in questa sede che ne abbiam piene le palle di loro come di Vendola d’altronde, che ci passeggiano come ad andar per funghi. In mancanza di Selvaggia Lucarelli e soprattutto delle sue tette, le soluzioni che appaiono agli occhi del mero cronista imbrattacarte sono due. La prima: la stampa musicale è in mano a un manipolo d’incompetenti che i dischi neanche li sente e scrive nomi a vanvera per i nostalgici di tutto con il peso specifico di niente. La seconda: Dodi Battaglia e Dodi Al-Fhaied e soci dovrebbero evitare di far dischi che poi non sanno suonare perché gli si stacca il catetere. Studiati e post-prodotti, effettati e spacciati per dogmi. Comunque la pensiate, questo resta un paese per vecchi in cui Steve Ferrone ci fa quasi la sua porca figura nel tirar a campare, e ci sta tutto che dagli Scritti Politti sia approdato ai Pooh. Tutto torna: Skank Bloc Bologna, sappiamo benissimo cosa significa “pooh” in inglese, aggiungeteci Gianni Moranti e per forza che finiamo a parlar di merda. L’unico pubblico genuino oramai è quello che mangia la merda perché non può mangiare il riso. E allora capiamo perché a inizio carriere Ferrone ha suonato anche con il Gianni Morandi nel suo periodo più eversivo, non a caso copiato da GG Allin. Insomma: comunque la si pensi questa resta una storia di merda.

domenica 2 gennaio 2011

A sorpresa siam tornati: buon nano dalla redazione di Spadrillas. Per un 2011 con i fiocchi.

"L'Italia è un paese giovane", diceva Lino Toffolo in una trasmissione musicale di cui non ricordo il nome che conduceva negli anni ottanta su Canale 5, "se parliamo di festival". Un Paese in cui la cultura dell'evento musicale partecipato e condiviso sta iniziando ora a crescere e fiorire come papaveri da oppio, in senso europeo, come quei mostri sacri del genere quali Sziget, Festival Internacional de Benicàssim o l'inarrivabile Glastonbury (Ferrara Sotto Le Stelle non lo metto perché è a Ferrara e non a Milano, ed io sono un culattone raccomandato che è andato a Milano per svoltare e ce l'ho su con tutto ciò che non è Milano). Non esiste cultura giovanile che non abbia il suo festival di riferimento, ma ha ancora senso stare a parlare di cultura giovanile nel 2011? Son solo seghe mentali, ma tant'è. Per gli hippies, c'era Woodstock. Per il Sindaco del Metal c'è il Gods of Metal. Per gli amanti della techno, c'è I Love Techno. E per la musica italiana? Ora c'è il MI AMI, il festival organizzato da Rockit, che in 6 anni ha fatto girare più di 500 gruppi di (nuova) musica italiana che ripetono in piccolo i tic ed i difetti della vecchia musica e pertanto sono più vecchi della vecchia. Quella ancora non codificata, senza un codice di riferimento, senza un riferimento, senza un ferimento, senza un fermento, senza il mento, senza un braccio, accio accio, calcolo renale, fistola anale, vaglia postale. Forse senza un santo a cui votarsi. Santo Trafficante shoot the benpensante killing me softly with your musica pesante.
Ci siamo chiesti dunque se questa esperienza potesse essere una rottura nel tran-tran del mercato della cultura, del bunga-bunga della prostituzione culturale e delle marchette a buon mercato ai gruppi che vogliamo promuovere perché amici degli amici. Se si trattasse di un momento di intrattenimento puro e sterile o una risorsa-laboratorio per cambiare vite e direzioni, se si trattasse di un porno andrebbe ancora meglio. Il risultato è "L'anale che mi porto dentro vuole te, in tutte le posizioni". Una ricerca che abbiamo svolto con Alberto Stasi sul ruolo che i festival svolgono nel contesto culturale e di consumo nel nostro paese. Sulla capacità dei festival di risvegliare la parte pura di noi che la società assopisce e stupra (cazzo vuol dire poi, l'ho scritto perché faceva strano ed alternativo). Live, interviste, chiavate, percorsi che restituiscono un'Italia civile, sociale e viva. Oltre che una scena di musicisti che ha saputo razionalizzare il proprio percorso. Buona visione!