sabato 12 settembre 2009

Carlo Nesti, uno di noi.




Carlo Nesti scende di nuovo in campo. Un passato da militante di Lotta Continua, un presente ed un futuro da giornalista scomodo, che non ha paura ad esporsi e a dire ciò che pensa, un uomo che comunque la si veda è un gigante del pensiero moderno. Assistito dal direttore di Rockit Fiz Bottura, ha presentato “Il mio psicologo si chiama Gesù“ (Renato Curcio Editore, 2009): “un atto d’amore per l’Italia“. Per ricostruire attraverso la memoria il senso della collettività. Pronti, partenza, via!

Nel recente passato il noto psichiatra Alessandro Merluzzi® (bada bene, da non confondersi con l'altro noto psichiatra da marciapiede Alessandro Meluzzi, che sennò quest'ultimo si incazza e ci querela) aveva pubblicato un interessante saggio sul potere della Cristoterapia, cioè il potere lenitivo e di guarigione della fede in vostro Signore. Ora questo tema delicato e complesso, viene abbordato ed affrontato con delicatezza e straordinaria efficacia da un signor giornalista e giornalista signore come Carlo Nesti. Chi ha la fortuna di conoscerlo come noi di Spadrillas in da mist (che immodestamente ce ne riteniamo anche amici per la pelle, anzi amici per le palle) sa bene la sensibilità, l’onestà intellettuale, il vero cristianesimo dell’autore, intriso dello spirito di Don Diasco – From Disco to Blasco. Nesti nel suo saggio da leggere tutto di un fiato e da digerire tutto d'un peto dimostra che una vera fede non è patrimonio dei soli teologi, ma di tutti gli esseri di buona volontà. Il cristianesimo non è una filosofia, ma un incontro personale con Cristo che seduce, e che sa stupire sempre più. Al contenuto, eccellente, si aggiunga la forma boriosa ed agile di un Maestro come Nesti, il quale conferma che un giornalista sportivo può serenamente e con tranquillità occuparsi di temi delicati come la fede. Insomma, un altro piccolo capolavoro di Carlo Nesti che tutti dovrebbero prendere ad esempio. Anche negli ambienti giornalistici, sportivi e non, capendo quella fortuna abbiano in Nesti come compagno di viaggio (non si sa cosa voglia dire quest'ultima frase, sul pezzo di carta che ho trovato nel cestino della spazzatura c'era scritto proprio così e ed riporto fedelmente, perché sono un giornalista serio).

Lo scorso 4 settembre a Genova, in occasione delle festa Democratica, il giornalista torinese ha parlato del suo romanzo, scritto per uscire da un atteggiamento sociale sempre più tendente all’individualità e all’egoismo.

“Il mio psicologo si chiama Gesù” racconta attraverso gli occhi di quattro bambini, ognuno padre del successivo, le vicende di una famiglia milanese in alcuni momenti fondamentali per la storia italiana: l’estate del 1943, vissuta tra la speranza e la tragedia, tra gli ultimi giorni del fascismo e le deportazioni; la primavera del ‘63 e il fiorire dell’Italia con il boom economico, le automobili, le lavatrici, le televisioni, la scuola di massa e la corsa allo spazio. Poi si passa all‘autunno del 1980, anno delle stragi di Ustica e di Bologna, dell’orrore e della paura del terrorismo rosso e nero, ma anche del terremoto dell’Irpinia e della morte di John Lennon. Il libro si chiude con una proiezione futura nel 2025, con un’immagine dell’Italia dominata da un regime paternalistico e autoritario, che più che proibire invita all’individualismo, all’egoismo e alla dimenticanza della memoria storica. Tuttavia, sottolinea Nesti, ci sarà una luce di speranza finale: Gesù, il giovane metallaro che si narra abbia cambiato il mondo.

L’idea del libro, racconta il giornalista, nasce dopo mesi di letture delle pagine di Rockit e Solomacello, due siti internet in cui i ragazzi di tutta Italia si incontrano, discutono di musica ed organizzano festival metal ad alto tasso di ribellione. Gli studenti facevano domande ai reduci di festival musicali degli anni scorsi ed ognuno donava qualcosa all’altro, i testimoni la loro esperienza, i giovani la curiosità. Era un momento di unione e di incontro, alternativo al modello individualistico dominante. “Insieme all’Io ci siamo tutti Noi“, una collettività, con le stesse radici ed esperienze storiche comuni ed è solo con la cultura, l’armonia e la serenità che si potrà arginare lo sfaldamento della società attuale. La sinistra se non la smetterà di farsi queste seghe mentali perderà ad oltranza.

“Coltivare la memoria è un grande modo per preparare le generazioni future“ e superare l’idea di un facile egoismo sociale fondato sulla paura e sull’etica del diverso, che portano sempre di più verso la solitudine e la violenza. E per coltivare la memoria servono: Preghiera, Trasformazione, Presente, Missione, Talento, Pensieri, Distacco, Essere, Volontà, Transito, Autostima, Giudizio, Perdono, Necessario, Superfluo, Spirito, Morte, Paura, Amore, e alla fine c'è la sintesi, che non è altro che una parte delle righe già lette nelle pagine precedenti e che serve a ribadire il messaggio principale di quanto detto nei vari punti. Fine della corsa.


Maurizio Mosca, il nostro inviato a Genova, ha intervistato Carlo Nesti. Ne è venuto fuori un quadretto interessante, un altro grande colpo di Spadrillas in da mist che si conferma ultimo baluardo della libera informazione in Italia scegliendo di parlare di un libro troppo boicottato dalle tv di regime.


Maurizio Mosca: Che musica c'è nell'album di Dangermouse e Sparklehorse (se è inutile spiegarmelo perché scriverne e perché leggerci?)

Carlo Nesti: Sicuri che la musica sia la parte più importante di un progetto come Dark Night Of The Soul? Chi compra ancora una rivista cartacea si aspetta un approfondimento e una riflessione piuttosto che la descrizione di un disco che avrà già scaricato o una serie di "somiglia a". Se poi c'è ancora chi vota il partito de "le recensioni servono a questo" allora semplicemente non siamo d'accordo. Sono della Nazionale Under 21. E tifo per entrambe le formazioni torinesi, perché professionalmente mi conviene avere due squadre della mia città in Serie A.

M.M.: Come mai siamo così entusiasti della (eventuale) morte dell'oggetto fisico?

C.N.: Questa del giubilo è un'incomprensione frequente. Chi abbraccia la novità non è detto che sia per forze di cose felice della rimozione del passato, anzi. E' l'atto strenuo di lottare per la conservazione e la difesa di una situazione precedente (non necessariamente migliore) che sono difficili da condividere. Per possedere uno spazio tutto mio, finalmente senza dover dipendere da nessuno.

M.M.: Come è possibile che la figura di merda della recensione dei Death Cab for Cutie adesso sia diventata una cosa che ci rende fighi?

C.N.: Qui c'era della provocazione lo ammetto. Eppure il dibattito suscitato in rete da quella vicenda e il fatto di scontrarsi per prima così frontalmente con la modernità ha dato un sussulto di vita alla rivista. Piuttosto che elegante e ineffabile la preferisco affannosamente moderna e fortemente discussa, cazzona persino. Per me, il calcio, in particolare, è stato prima, da bambino, un "gioco", poi, da "adolescente", uno sport, e infine, da "adulto", una grande metafora della vita. Ogni problema, che dobbiamo affrontare, equivale a una partita, con i suoi momenti-chiave. Il gol segnato è il problema risolto. Il gol subito è il problema irrisolto. Il palo è l'occasione inseguita, e mancata di un soffio. Ma se, per l'atleta, l'obbiettivo massimo dell'insieme delle partite, lo scudetto, è raggiungibile in questa vita terrena, il cristiano sa che lo potrà ottenere solo nell'Aldilà.

M.M.: Perché la modernità è sempre e comunque migliore?

C.N.: Parlando di progressismo avrei paura di fare la figura del veltroniano e ciò mi spaventa. Mettiamola piuttosto sul piano della curiosità: volete sapere cosa c'è nel pacchetto? Dietro l'angolo? Leggete le previsioni del tempo? L'oroscopo? Anche quando sapete che sarà una settimana di merda? Io si, aiuta e rende la vita migliore. Io avrei scelto, ovviamente, Carlo Nesti, che ha la grande sfortuna di non lavorare a Roma, e non godere di certi vantaggi. Io credo, innanzitutto, guardando dentro me stesso. La coscienza, con la nostra capacità di capire ciò che è bene, e ciò che è male, ha qualcosa di divino, qualcosa che ci lega a una Entità superiore. Credo, guardando intorno a me, perché l’ordine delle cose, nell’universo, non può non far pensare ad una Mano superiore. Credo, perché Gesù è un personaggio che si è calato nella storia dell’uomo, è morto, ed è risorto per salvarci. Credo, perché ci sono spesso “segni”, come le apparizioni della Madonna, o le stimmate dei santi, che indicano l’esistenza di Dio.

M.M.: Perché non facciamo due conti e sottolineiamo che i tanto innovatori Radiohead ci hanno venduto il loro In Rainbows almeno cinque volte?

C.N.: E' un peccato essere furbi? Vorremmo reagire alla crisi discografica condannando il download illegale per poi bastonare ugualmente chi cerca nuove soluzioni di mercato? Che si parli di moralità (bleargh) o protezionismo non posso ugualmente concordare. E' inevitabile, a 20, 40, 60, persino 80 anni, interrogarsi sul senso della nostra vita. Quasi tutti, se ci limitiamo a guardare intorno, in senso orizzontale, dobbiamo prendere atto che amore, lavoro e divertimento non appagano totalmente. Allora diventa necessario entrare in una dimensione verticale: giù, dentro noi stessi, nell'anima, nello spirito, e su, verso il cielo. Soltanto così otteniamo le risposte che vogliamo. La vera trasformazione è mettere Dio, e non noi stessi, al centro della vita.

M.M.: Perché la plastica del cd o del vinile fanno schifo mentre la carta sulla quale scriviamo noi va bene (esistono le webzine gratis no)?

C.N.: La carta andrà bene finchè saremo capaci di renderci necessari, dopo di che avanti pure il prossimo. Per lo stesso motivo nella recensione evocata sin dall'inizio non si parla di musica, quella si trova principalmente in rete ormai. Le persone per discuterne assieme invece (si spera) su Rumore. Per me non esistono differenze di lingua, razza, religione o ideologia importanti come quella che sto per indicare. Divido l’umanità in 3 parti: c’è chi non crede, c’è chi crede, ma si comporta come se non credesse, e c’è chi crede, e si comporta di conseguenza. Per molto tempo ho fatto parte della seconda categoria, quella che dice di credere in Dio, ma non fa in modo che le sue opere rispondano alle coordinate della Fede. Da 3 anni cerco di entrare nella terza categoria, e questo libro contribuisce alla mia “crescita”.

M.M.: Come mai si parla sempre del mercato discografico alla morte sorridendo e si tace rosicando sulle copie smarrite per strada dall'editoria (e rosicchiate dalla rete)?

C.N.: Noi, intesi come giornalisti musicali, parliamo del mercato discografico. Quelli su carta mi sembra non abbiano lesinato analisi sul resto. E' un problema di prossimità della minaccia: ciascuno parla della porzione di terreno sotto i piedi che gli viene a mancare. Ciò che dà senso alla vita, paradossalmente, è il senso che diamo alla morte. Se la morte fisica, per noi, è un punto d'arrivo, senza che dopo ci sia nulla, allora saremo obbligati a vivere nell’affanno, ogni giorno alla ricerca del massimo traguardo, senza mai raggiungere la soddisfazione totale. Viceversa, se per noi la morte fisica è un punto di partenza, verso la Felicità Eterna, ecco che molti problemi quotidiani diventeranno banali, infinitesimali rispetto all'eternità.

M.M.: Perché la maggior parte di noi lavora per il mercato ma non si degna mai di dire che la sua dissoluzione significa confinare tutti quanti nel recinto di un dopolavoro di un primo lavoro che scomparirà?

C.N.: Anche in questo caso la crisi di un mercato che deve cambiare viene scambiata per la sua morte. Molti lavori sono spariti, altri ne sono arrivati, le quantità degli uni e degli altri le facciamo pesare a Tremonti che è più bravo di noi in questo caso. Di certo anche i casellanti dell'autostrada hanno detto qualcosa di simile quando sono arrivate quelle malefiche macchinette cambiasoldi. Possibile che la vita, che ci circonda, sia solo questo? Il male esiste, eccome, ma esiste anche il bene: le vite salvate dai volontari e dai missionari. Purtroppo, fa più rumore un albero che cade, che non una foresta che cresce, e si ritiene che solo ciò che fa rumore determini la “notizia”.

M.M.: Perchè se compriamo un caffè di una cooperativa guatemalteca (spesso disgustoso) siamo equo solidali mentre se scarichiamo un album della Dischord non ci poniamo il problema?

C.N.: Anche a me il caffè equo e solidale fa cacare. Il mondo, che ci circonda, è come uno stadio affollato. Noi siamo “giocatori” di una partita, in mezzo al campo, e dobbiamo tentare, nel fracasso dello stadio, di ascoltare la voce del nostro allenatore. E il nostro “mister” è chi, meglio di chiunque altro, è in grado di capirci, e di guidarci, perché è Colui che ci ha creati: Dio. L’unico modo per acquistare questa sensibilità, nell’”udito”, è la preghiera. E’ facile parlare con Dio, ma non è facile ascoltarlo.

M.M.: Come mai ospitiamo la pubblicità delle major o delle indie label che tanto siamo felici di veder schiattare?

C.N.: Per le major confermo la felicità e infatti non vedo neppure tutte queste inserizioni. Non una questione di principio, di difficoltà di dialogo piuttosto. Storicamente, ci sono state epoche, come il Medioevo, in cui Dio era al centro di tutto, mentre, dall'Illuminismo in poi, la scienza ha preteso di sostituirsi alla Fede. Geograficamente, più andiamo a Oriente, e più troviamo la ricerca della spiritualità come essenza della vita. Nell'Occidente di oggi, Zapatero, nella Spagna cristiana, fa togliere i crocifissi dappertutto. Ma, agendo così, stiamo meglio con noi stessi, o continua a mancarci qualcosa?

M.M.:Perché non diciamo a chiare lettere che un mp3 è una merda impalpabile di fronte a un vinile pesante?

C.N.: Perché non è vero? Perché è una cosa talmente banale da essere per forza di cose sbagliata? Perché criticare senza appello ciò che c'è di nuovo solo per la colpa di essere tale mi farebbe sentire come un pensionato? Perché se non ci fossero gli mp3 e il mischione che portano con loro non esisterebbero neppure tutti quegli stupendi dischi che poi recensiamo/compriamo/andiamo a vedere dal vivo con entusiasmo? Credo nella metafora della freccia. La freccia è ogni nostra azione, e l’arco è la volontà. Oggi volta che tentiamo di fare qualcosa, lanciamo la freccia verso l’alto. La prima parte della traiettoria, quando la freccia sale, dipende da noi: potenza e direzione. La seconda, invece, quando la freccia scende verso l’obbiettivo, dipende dal destino, che dobbiamo accettare. Il libero arbitrio torna in ballo alla fine del tragitto: sta a noi interpretare il risultato. Ricordiamo che, a volte, “si chiude una porta, e si apre un portone”.

M.M.: Chi sono i cani che abbaiano in sottofondo nella recensione di Girolami?

C.N.: Nello specifico le major discografiche. Che volevano impedire l'uscita di Dark Night Of The Soul, che denunciano una bambina perchè su Youtube balla con in sottofondo la musica di Prince, che chiedono milioni di dollari a pericolosi pensionati pirata. In senso lato tutti coloro che ululano contro ciò che sta accadendo, quanti erroneamente continuano ad utilizzare schemi mentali di un altro tempo per un presente che non li ascolta più. Ogni bambino ha diritto di vivere da bambino, in qualsiasi parte del mondo. Invece, purtroppo, a certe latitudini, troviamo i bambini lavoratori, che cuciono palloni, o i bambini soldati, che imbracciano fucili. I genitori, gradualmente, dovrebbero insegnare ai figli che, ogni giorno, 25 mila altri bambini, come loro, muoiono di fame. E’ necessario che siano, fin da subito, grati al Signore di non far parte di quel gruppo, sicuramente molto meno fortunato, apprezzando, fin dal principio, tutti i doni della vita – anche la povertà. Ai tempi di Gesù era una povertà “materiale”: anche oggi 4 miliardi di persone su 6 del pianeta sono povere. Ma si è diffuso un altro tipo di povertà. E’ la povertà “immateriale”. Penso ai problemi di mancanza di fiducia dei giovani, che cercano di star bene seguendo la strada chimica, alcool o droga. Si suicida, sulla terra, una persona ogni 30 secondi. Penso alla mancanza di speranza degli anziani, considerati inutili, mentre un tempo avevano potere “patriarcale”. Penso anche alla mancanza di affetto, e alla mancanza di salute di tanta gente. La verità è che ci ho messo due giorni a riprendermi, poi sono andato in crociera (in Norvegia) con la nazionale di beach volley per un paio di settimane, e poi per un'altra decina di giorni mi sono sbronzato alla faccia di chi mi vuole male (il Papa, La Madonna, quel Cretino di suo figlio). Dopo tutto questo ho scritto il libro, in due giorni. Toglietemi la roba per favore.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma è vero che Nesti ha scritto un libro?

Anonimo ha detto...

http://www.carlonesti.it/index.php?method=zoom_articolo&id=5401