martedì 28 ottobre 2008

Comacchio capitale aka Cosa si dice in questi casi? Che sa di tacco!




Se a Roma hanno il ristorante Cencio detto Er Parolaccia, immortalato in Fracchia la belva umana che in realtà un mio amico che ha fatto il servizio militare nei carabinieri a Roma (solo per andare a mignotte gratis dice lui) ha detto che è un ristorante dove si mangia caro, spende tanto e si viene insultati for the sake of it Ferrara non è da meno, e rilancia con wine bar(s) che si rifanno a Renato Pozzetto e Francesca Dellera nello sketch di Roba da Ricchi, quando my man Renato sedotto dalla Dellera beve dal suo tacco champagne e risponde alla con arroganza tutta padana (e autocitandosi) "Sa di Tacco".
L'apertivo a Ferrara va fatto con arroganza, come dice Ermanno Rea in Il Po si racconta, perchè l'aperitivo a Ferrara è secondo lui (pagina 128 dell'edizione Net del 2004):

1) Cinico, intelligente e rozzo
2)Nè emiliano, nè romagnolo nè veneto
3)Incline alla maldicenza
4)Plebeo, più di quanto si creda
5) Spagnolesco: si crede l'ombelico del mondo
6) Senza iniziativa. Chi la prende è guardato con irritazione
7)Contro Comacchio.

Ermanno Rea tra l'altro in questo libro che è passato in pratica sotto silenzio ammette che Comacchio non è solo superiore a Ferrara ma pure a Napoli. D'altronde La Casa dalle Finestre che Ridono non è stata girata nè nel Castello Estense nè a Suriento.
C'è solo una categoria con cui non puoi fottere ancor di meno che coi napoletani, e quelli sono i comacchiesi. Comacchio quindi deve essere la capitale, con buona pace dei capitoni.
C'è poco da fare.
A Comacchio se fai l'aperitivo innanzitutto non ti trattano come dar Parolaccia e nonostante sei in pratica a Venezia ti fanno pagare una lemonsoda 2 euro e non 3. A Comacchio il buffet non è pre-determinato e non ti guardano male se mangi troppo, anzi se mangi poco ti danno dell'omosessuale.
Comacchio è una città più da uomini che Boston, dove la carne è rossa e gli uomini sono uomini.
A Comacchio va ancora la roba della Energie e chi non ha il mullet non è considerato uomo.
In un paese che funziona Comacchio sarebbe la capitale, e Ferrara sarebbe Rovigo .
E' per quello che io ho un tatuaggio Comacchio-related e non il Castello Estense sul braccio.


Corsivo

lunedì 20 ottobre 2008

Vasco is dead, Carlo Pastore is next aka mi è sembrato di sentire un tumore,tumore





Che Carlo Pastore e quelli di rockit con in prima fila Gin Fizz Bottura portassero sfiga era risaputo, ma che gufassero il Blasco e si rendessero colpevoli di lesa maesta è indice di una boria e di un delirio di onnipotenza che merita un pogrom nella sede di rockit a Milano da parte della Combriccola del Blasco con in mente una cura medioevale per il suo culo (cit. Marcellus Wallace).
Da quando hanno deciso di pompare Vasco Brondi aka Le Luci della Centrale Elettrica hanno preso a gufare Blasco e alla fine ce l'hanno fatta: Vasco c'ha un tumore e ha fatto un video tipo The show must go on.
Avete fottuo con il modenese sbagliato questa volta. Ok tutto, ma in Italia il Blasco non si tocca. Scherzate coi fanti ma lasciate stare i santi. Avete fatto venire un tumore a Vasco, avete pasatto il limite voi e il vostro Un altro Vasco è possibile.
Ma
avete dimenticato che questo stivale si divide in due: quelli a cui gli piace Vasco Rossi perchè fino a Liberi Liberi ha fatto la storia della musica italiana e che hanno la pistola e quelli che scavano.
Carlo Pastore e i tuoi amichetti di Rockit, voi quando il Blasco morirà vi ritroverete a scavare.
Nel mentre venerdì prossimo esce Albakiara from Perugia e Ill Bill se lo andrà a vedere subito perchè oggi ascoltando Hollywood party su Radio Tre (che sarebbe una gran radio se non ci lavorasse Marino Sinibaldi, una versione beta di Giampiero Mughini meets Sofri padre meets Paolo Liguori ma ancora ghetto chic, come se i Colle der fomento avessero i testi di Sean Paul) ha scoperto che il regista è Stefano Salvati, immortale autore di Jolly Blu.
'Nuff said.
Contro la visione Pastor-Mocciana dello stivale Spadrillas supporta lo Zabov Moccia, Albakiara, il Blasco e Max Pezzali.
Contro l' esercito del diy e il suo populismo a buon mercato la gioventù italiana si scaglia, e Blasco e Pezzali sono i due sgherri strafatti di crack chiamati per fare un lavoretto nel cesso di una certa sinistra indiesnob aliena al paese reale.
Un paio di pinze e una buona saldatrice, questa volta avete fottuto coi negri sbagliati amici di Carlo Pastore.
Perchè l'Italia si divide in due: quelli a cui gli piace il Blasco e quelli che scavano.
E voi scavate.



domenica 19 ottobre 2008

Travolgente. Pericoloso. Un'onda d'urto.

Nonostante i potenti mezzi a disposizione, finora non eravamo riusciti a trovare traccia di The Cosmos Rocks, il nuovo imperdibile album dei Queen (che solo incidentalmente ora si chiamano Queen + Paul Rodgers, dal nome del nuovo cantante che ha sostituito il defunto Freddie Mercury), la mitica band inglese che ha infiammato milioni di persone e che ha finalmente deciso di uscire allo scoperto e rientrare sulle scene per riprendere il discorso dal punto esatto in cui il Fato lo aveva interrotto. Una grossa pecca per un quotidiano come il nostro, un quotidiano che si propone di fare del libertinaggio intellettuale e non prende posizione ma si posiziona (a novanta gradi, per l'esattezza). Ma alla fine abbiamo rimediato, eccome se abbiamo rimediato.
Siamo degli Antichi, come direbbe Ringo. Cercavamo nei negozi specializzati ma non trovavamo nulla, solo i vecchi dischi che ormai suonano più datati di quelli dei Jethro Tull. Cercavamo in rete ma trovavamo solo fakes o, peggio, film a luci rosse di bassissima qualità che non piacciono più nemmeno ai ragazzini in piena tempesta ormonale. Cercavamo nei supermercati ma trovavamo solo pacchi di pasta e copie del Corriere della Sera invendute. Sbagliavamo posto. È bastato mandare Mario Scaramella in edicola a comprare Sorrisi e Canzoni Tv e The Cosmos Rocks come per magia è saltato fuori. Semplicemente, non eravamo al corrente che il disco veniva venduto insieme al prestigioso settimanale di costume al modico prezzo di 15,90 euro, eravamo troppo snob anche solo per pensare una cosa del genere. Ma tutto è bene quel che finisce bene ed ora possiamo accontentare il Direttore e parlare di una delle sue band preferite di tutti i tempi (almeno dai tempi di Valle Giulia, direi).
Tanto per tagliare la testa al toro, The Cosmos Rocks è un capolavoro di quelli che verranno ricordati per sempre e tramandati ai posteri. I Queen hanno saputo aggiornarsi e rinnovarsi, hanno indurito la loro proposta musicale ma sono sempre gli stessi anche se ora suonano quasi come una band che ha cominciato per emulare i Motorhead ma poi è stata travolta dagli eventi ed è sopravvissuta miracolosamente fino ai giorni nostri. Un disco del genere mi fa quasi pentire di averli definiti in passato “gruppo di merda”, “il gruppo più tamarro della storia”,“band più sopravvalutata di sempre”, “Un chitarrista mediocre, che fa sempre lo stesso, medesimo, assolo, con in sovrappiù gli zoccoli e capelli improponibili. Un bassista che non si sente, e che, l'unica volta che riesce a fare qualcosa di buono, lo prende di peso da Good Times degli Chic (il giro di passo di Another One Bites The Dust è ai limiti del plagio). Un batterista che sa tenere un unico tempo, tanto da utilizzare praticamente lo stesso schema ritmico in ogni brano. E poi lui, Freddie Mercury.”. Chiedo umilmente scusa ai fan ed anche ai musicisti, sono io che non avevo capito la grandezza della band inglese, che con Paul Rodgers alla voce e Mario Borghezio al basso ora è ancora più grande, ed un'opera come The Cosmos Rocks sta tutta lì a dimostrarlo nella sua voglia di ricominciare. Dimmi perché piangi – di felicità – e perché non mangi – ora non mi va, e non ho nemmeno voglia di recensirla dunque copio alla grande ciò che trovo in giro perché, come ben insegna il Direttore, riciclare è meglio che curare. L'inizio (That Was Just Your Life, The End Of The Line e Broken, Beat & Scarred) è una ideale coda di It's a Kind of Magic suonata da una hard rock band, mentre The Day That Never Comes è la nuova Highway Star, non ci piove. Non contenti di ciò, i Queen provano a fare gli Slayer (più o meno era South Of Heaven) e realizzano il gioiello All Nightmare Long (ce la farà Brian May dal vivo? Per me no, però in caso di necessità si può sempre far suonare al posto suo qualcuno che sta nascosto dietro le quinte, tanto nessuno se ne accorgerà). Judas Kiss è il pezzo mai riuscito ai Testament, Mario Borghezio è artefice(?) in Cyanade mentre di un Brian May negli anni si è trasformato in una sorta di Hendrix del Metal (Unforgiven III). My Apocalypse come Damage Inc. ma non ha nemmeno senso raccontarla, le parole non bastano a descriverla nella sua furia distruttiva.
Un disco travolgente, pericoloso, un'onda d'urto saggiamente addomesticata dal produttore Nick Rubik, un Uomo che è stato in grado di dare una dimensione inedita al suono ormai superato della magnifica band inglese, rendendola grazie a questo qualcosa di nuovo, inedito. I fan di vecchia data storceranno il naso e non approveranno, i nuovi fan saranno entusiasti ed impazziranno – ma chi se ne importa? L'importante è che il Direttore abbia gradito talmente tanto il disco da decidere di mandarci in Inghilterra per intervistare la celeberrima band inglese.
Siamo già in partenza, a breve un report del viaggio e poi l'intervista.
Un altro grande colpo di Spadrillas in da mist è stato fatto.

mercoledì 15 ottobre 2008

Ascelle di guerra

Il Direttore era stato categorico, come solo lui sa fare: “Se non mi tirate fuori una recensione-wrestling entro tre giorni, vi caccio a calci in culo dalla redazione e vi sostituisco con Marcenaro e Filippo Facci, che ora Luca Sofri scrive su quel foglio tecnicamente omicida chiamato L'Unità e non è più dei nostri”. La minaccia di un calcio in calcio in culo da Giuliano Ferrara sinceramente era troppo per noi Cantori dell'Apocalisse, e dunque abbiamo deciso che era ora di muovere le chiappe e scrivere qualcosa di decente.
Rimaneva solo da scegliere il soggetto, l'evento in grado di risvegliare i nostri istinti più biechi ed animaleschi. Giorni e giorni a pensare, notti intere ad aspettarti, ad aspettare te, dimmi come mai, ma chi sarai, per farmi stare qui, e poi è arrivata l'illuminazione, il colpo di genio. Dato che a Giuliano Ferrara piacciono tanto i Sex Pistols, perché non provare ad andare a sentire live da Zuni a Ferrara quella che appare a tutti quanti come la loro più credibile reincarnazione, ovvero Il Genio? Sono in due, sono di Lecce, suonano roba cool, piacciono a tutti e sono stati ospiti al programma di Simona Ventura: impossibile mancare. Ed allora noi abbiamo preso i nostri quattro stracci, siamo partiti e non siamo più tornati, fashion victims vittime degli eventi.
Folla delle grandi occasioni, gente che vedi a concerti del genere e poi mai più, gente al primo concerto, telefonini al vento ad immortalare l'occasione della vita, lo spirito di Carlo Pastore che aleggia in sala (e ai cessi). Non importa se tutte le canzoni sembravano uguali ed indistinguibili, se le basi usate erano le stesse basi midi di Hanno ucciso l'uomo ragno, se lui aveva la stessa voce di Jocelyn che presentava i Kraftwerk nel 1983, se sembrava quasi di sentire una band alle prime armi: l'importante era esserci, e documentare con cura e dedizione alla causa. E noi abbiamo vissuto ogni istante ed ogni gesto di chi ci circondava, ma avremmo potuto seguire il concerto stando chiusi in bagno a parlare di quanto invidiamo i capelli al nero di seppia di Marcello Veneziani, tanto sarebbe stato lo stesso. Un gruppo pietoso, indifendibile, ed il bello era che gli stessi loschi figuri accorsi solo per loro sono tutti progressivamente scappati fuori dal locale, probabilmente spaventati dal lugubre guano sonoro proposto dal duo leccese. Quel che è successo non ci fermerà, il crimine non vincerà, fuggi fuggi generale però quando Il Genio ha suonato la megahit Pop Porno tutti i fuggiaschi sono corsi dentro, per essere ancora una volta protagonisti del Grande Sogno e spedirlo via Mms agli amici che non sono venuti.

(Ill Bill)
Loschi individui al bancone del bar domenica scorsa da Zuni, a rimpinzarsi del riso coi cereali a banco il festival del fuorisede salentino (piaga che oramai Bologna ha trasmesso a Ferrara).
Ma Niente reggae e niente soundsystem e Lu Papa Ricky…how could the hell could be any worse mi chiedo io? Il Genio è la risposta: l’apoteosi della schifezza, la sintesi della disgrazia di una certo indie salottiero italiano che risulta più irritante di Marino Sinibaldi di Radio rai tre.
Prendete una bella fighina wettinata col caschetto nero che sospira je t’aime moi non plus ma in italiano e 40 anni dopo Jane Birkin ma sexy come Lea di Leo meets Fernando di Leo e che manco ci fa vedere le tette o ci fa ridere come Tying Tiffany e il tastierista dei già paraculissimi Costeau de noantri Studio Ninetto Davoli (myspace.com/studiodavoli) che ebbero la loro estate di gloria un par d’anni fa grazie alla longa manus di Carlo Pastore?
Ill Bill ha sentito per la prima volta la hit un paio d’ore prima di recarsi da Zuni domenica scorsa, sospirata da Simona Ventura che prima della pubblicità usa pop corno come stacchetto. C’è bisogno di aggiungere altro? Sì, che come una vera indie rock swindle situazionista i due geni del male hanno fatto suonato per due volte la loro hit.
Questo gli garantisce un posto sicuro nella nuova serie di Meteore, assieme a Tracy Spencer, Corona, Haddaway, Lisa Stansfield, Yazz, i Vernice, Young Mc, Rebel Mc, Sandy Balestra.
Non mangeranno il panettone, ma come diceva il socio A.S intanto noi siamo quelli che se li sono andati a vedere e siamo noi quelli che la mattina dopo si dovevano svegliare alle 7 per andare a lavorare. Lo spirito della donna, il sogno e grande incubo, grazie al Genio, rivive e ci fa rivalutare l’ultimo apporto alla causa 883 di Mauro Repetto (aveva ragione Zingales, come al solito) e di Paola e Chiara.
Come direbbe Jane Birkin, genial.

giovedì 9 ottobre 2008

Koko Bware proudly presents: Rumore's Demokrazia, Ottobre 2008



Come affermato nella risoluzione strategica e straight edge apparsa non a caso nel millenaristico #200 considero il mio compito di profeta (inteso wikipedikamente come "colui che parla davanti", cioè pubblicamente, sia nel senso di parlare anticipatamente di qualcosa che deve ancora accadere) esaurito. Lo Stato generale di Rumore però è irremovibile come un Moloch (in questo caso nel senso rivelato dalla recensione dell’omonimo film di Sokurov scritta dal profeta Giona il Nazareno nella sua lettera ai turbocritici ganzi di Nocturno…e non a caso Moloch è anche un personaggio della graphic novel Watchmen e una macchina infernale in Metropolis: quindi tutto è riconducibile ai vaticini del profeta Giona ). Inamovibile quanto la presenza di Springsteen nelle copertine del Mucchio.

Ancora una volta allora: Che fare per trasformare la mia rivelazione teorica in prassi ganza? Anaforicamente ancora una volta il carteggio con quello che considero essere il mio alter-Engels (il correttore automatico di Word® insiste nello scrivere Enver: mi è toccato di correggere manualmente), ossia Jukka Aleksandrovič Ždanov Riverberi (il correttore di word ® insiste nel sostituire alla prima “e” la “i”: ritengo che questo sia un vaticinio shoegaze che annuncia il ritorno in studio dei My Bloody Valentine) mi ha indicato la linea retta da seguire.

Prima di passare alle recensioni dunque è un dovere morale innanzitutto chiedersi che fine abbia fatto Giuliano Ferrara dopo il tracollo della sua lista elettorale: quell’amabile Kareem Abdul Jabba (the pizza) Hutt de noantri mi manca. Non so più chi insultare e inoltre mi vengono a mancare nel pezzo 300 battute che non so come riempire.

E’ inoltre dovere morale riportare parte del mio carteggio con Ždanov Riverberi per educare i lettori alla prassi rendendoli edotti circa il finalismo intrinseco alle mie recensioni di questo mese.

Dopo il carteggio ho realizzato che è impossibile utilizzare una istituzione borghese come Rumore per gli scopi della demokrazia proletaria, perché nemmeno scrivendo su questo magazine posso dimenticare quale sono le mie reali condizioni d’esistenza. Quindi, up patriots della demokrazia to arms, smettetela di fare barricate in piazza per conto della borghesia che crea falsi miti di progresso.

Engels Reverberi mi ha illuminato il sendero scrivendo che la mia intenzione non deve essere quella di teorizzare sulla musica, ma di teorizzare attraverso la musica. Ne deriveranno quindi bizzarri pezzi scritti solo usando citazioni e recensioni cut-uppate da webzines di scarsissimo livello. Compito di questa rubrica deve essere l’annuncio della sovversione dello Status Quo (intesi come band) verso un magazine radicalmente nuovo, che non rigetti il carattere popolare a beneficio degli interessi individuali di un piccolo gruppo di eletti esteti. A conferma della teoria degli opposti estremismi il mio alter Engels cita Richard Wagner che nel 1848 proprio come Marx dichiarava che “…quest’ordine stabilito che divide i musicisti in potenti e in deboli, che dà agli uni tutti i diritti e non ne concede alcuno agli altri va distrutto”.

Questa separazione della musica e dei musicisti è l’alfa e l’omega della demokrazia, e l’ordine mitico su cui ogni redazione musicale si ammanta per conservare il potere è la divisione del lavoro che in questo magazine si traduce nel dare tutte le recensioni metal a Cerati e le ristampe della Trojan a Pomini. Demokrazia invece è una rubrica reductio ad unum di geometrica potenza che sovverte l’ordine unendo recensioni di seguaci dei Marlene Kuntz a wannabe Alborosie meets le Cocorosie. Altro che il down, questo è l’up totale che in quanto tale è rock da ogni botta un quintale: ciò che l’ordine redazionale dà come dogma perpetuo e necessario è una unità irreale, maschera della divisione in classi. Ma ciò che fa il potere astratto della redazione fa la sua non-libertà concreta.

Ed è per questo che l’organizzazione rivoluzionaria di Demokrazia deve essere critica unitaria di tutti i generi e di tutti gli altri collaboratori del magazine, Blatto escluso.

La conclusione pratica di questa teorizzazione è quindi l’auto-appropriazione effettiva, di tutti coloro che vengono recensiti su questa rubrica, della coerenza della sua critica e nella relazione fra questa e la prassi rivoluzionaria.

Demokrazia in quanto rubrica rivoluzionaria è nemica di ogni ideologia rivoluzionaria, e sa di esserlo: con le seguenti recensioni strategiche chiedo dunque ai recensiti, uomini senza qualità secondo le categorie redazional-borghesi, di costituirsi in classe per sè e iscrivere il proprio pensiero nella pratica chiedendogli molto di più di quello che la rivoluzione musicale borghese ha chiesto a Carlo Pastorious e ai dARI così come a Zingales e a Dargen D’Amico. Riconoscendo e nominando la vostra miseria vi porrete nell’alternativa di rifiutarla nella sua totalità.

Ciò detto: in quanto esponenti della classe post-hc (almeno così affermano loro nella loro biografia di 5 pagine A4 in cui tra l’altro mi fanno sapere che nel 2007 hanno vinto il premio della critica al “Vanilla Sky Contest” di Romagnano Sesia) chiamo all’armi finchè terranno il loro sangue in core i Violet (myspace.com/violetit). Ho tentato di trovare delle loro recensioni googolando, ma il massimo che ho ottenuto sono state delle recensioni di Andy Violet su debaser.it o di Paolo e Mary Chain (ho dovuto modificare il nome dell’artista onde evitare sventure alla mia persona). La traccia #6, che mixa jungle e i Finley mi basta per reclutarvi. Chiamata all’armi per la causa santa ska coi Lucy in the ska (myspace.com/lucyintheska06), che sono stati più arditi del IX Reggimento d'Assalto Paracadutisti Col Moschin: mi hanno scritto chiedendo il mio indirizzo e io, fiutando odor di ganja ma soprattutto di Giuliano “the king” Parma and the ballbreakers, prudentemente ho risposto: “mandatemi il cd solo se fate pezzi originali”. Al che loro hanno testualmente replicato: “Noi reputiamo l'originalità dei nostri pezzi una delle nostre principali caratteristiche. Le richiediamo un indirizzo a cui inviare il promo”. Che bisogno c’era, visto che vi ha già rensiti rockit.it? Arruolati. Al grido di Contro il sistema la critica ganza si scaglia, Morgan chi molla è il grido di battaglia chiamo all’armi i Mordana (myspace.com/mordanarockband), per perorare e perforare la causa del nuovo rock italiano. Con liriche quali Labile, sottile, differenza tra la tua e la mia via/ nata dall’arido vivere nella consuetudine/ umide labbra piene di sapori che/ disegnano la mia visione limite erotica/ altera l’equilibrio della mia chimica/ volatile l’orizzonte che non è che un altro limite come desistere dallo stringere un patto d’acciaio con loro? Li coopto senza nemmeno ascoltarli, tanto più che hanno ottenuto recensioni su gufetto.it, ephebia.it e saltinaria.it e partecipato a Roma Rock School Competition. Per quel che riguarda la classe “roba che potrebbe recensire solo Baroni” chiamo all’armi l’Ospedale dei suoni (ospedaledeisuoni.it) e il loro cd basato su improvvisazioni generiche comprensive di frequenze radio e alterazioni sonore ambientali. Nessuna recensione reperibile. Il lettore del mio laptop ha deciso di improvvisare pure lui visto che hanno avuto la geniale idea di attaccare sul cd un adesivo spesso quanto una braciola Probabilmente è questo il motivo per cui non li ha recensiti nessuno: il risultato sonoro ha fatto vedere i sorci verdi a Yamazaki Maso aka Masonna. Chiudo il reclutamento con gli Insideprocess (myspace.com/insideprocess), un nome da band metalcore più scatologico che escatologico: teschi aù gogo, ringraziamenti alle clothing companies invece che ai parenti, batteria triggerata…pura deutsche ideologie insomma (e infatti gruppi come questo e i film porno scatologici hanno terreno di coltura e conquista la Germania:chiedetevi il perché). Demokrazia in quanto rubrica rivoluzionaria nemica di ogni ideologia rivoluzionaria è certa che con loro la vittoria sarà nostra.

Uno sguardo al Sol dell’avvenire (il film di Gianfranco Pannone) prima di prender l’armi,

Voster Semper Voster

Er-P

spadrillasindamist.blogspot.com

martedì 7 ottobre 2008

La fiera delle banalità

Un Luca Sofri in uno stato di forma stellare ha moderato un fantasmagorico dibattito su come gli uomini italiani sono (o sarebbero) visti dalle donne straniere, una roba potenzialmente devastante che, per tono ed andamento, si è rivelata ben peggio del previsto.Già il fatto di chiamare una tavola rotonda “Cocco di mamma” non è il massimo della vita, ma farla moderare a Luca Sofri (un fuoriclasse che meriterebbe di calcare ben altri campi, ma scrive sul Foglio e sulla rubrica di costume della Gazzetta dello Sport pur non avendone colpa) fino a farla diventare una collezione di luoghi comuni triti e ritriti riguardanti l'uomo italiano ed il suo mondo è un'impresa che merita di essere ricordata a lungo e tramandata ai posteri. Però alla fine ho imparato molto anche se ero circondato da leccesi, ed è questo ciò che conta veramente.Ho appreso, ad esempio, che l'uomo italiano è implicitamente razzista con le donne straniere, le guarda con occhi diversi rispetto alle donne italiane, ma nello stesso tempo ne è incuriosito. Talmente incuriosito che si interessa alla loro nazione di provenienza, non sa dove sia, la scambia per un'altra nazione più famosa (ad esempio confonde Taiwan con la Thailandia), va giù di luoghi comuni talmente comuni da rendere il discorso un tantino surreale, gli stessi luoghi comuni che vanno propagandando in giro per il mondo che l'uomo italiano è ignorante di default.Un'altra importante novità è stata il sentirmi raccontare che gli uomini italiani pensano che le donne olandesi siano tutte prive di tabù e dunque quando si trovano ad approcciare con loro agiscano di conseguenza, dando sfogo a tutte le loro pulsioni di tipo sessual-narrativo. Non ci credo, non può essere vero, ma lo prendo come un dato di fatto perché ho visto che Luca Sofri annuiva e quindi deve essere per forza vero. Pur essendo un credulone, l'italiano vero -quello con la chitarra in mano come diceva il sommo poeta Toto Cutugno – è un grande gentiluomo, galante, altruista, pronto a donare tutto se stesso alla sua partner, facendola sentire davvero una donna fino al momento in cui entra in campo la mamma, ed allora non c'è santo che tenga. La mamma è sempre la mamma, ogni scarrafone è bello a mamma sua, ed allora ogni uomo italiano che si rispetti non fa nulla in casa e quando la mamma chiama lui risponde “presente!” e non capisce più nulla, anche mentre è in situazioni piuttosto piccanti con la propria lei. È un mammone, è un bamboccione come diceva il buon Tommaso Padoa Schioppa oppressore dell'Italia che lavora e che produce, la stessa Italia che ha nel Foglio il suo organo di stampa del cuore. Tutto molto interessante, dunque.E mentre si diceva tutto questo, mentre si discorreva del più e del meno, è venuto fuori uno scoop di quelli che possono cambiare il corso di un'esistenza: Luca Sofri ha intenzione di scrivere una sceneggiatura di un film, ma non una sceneggiatura qualunque, una sceneggiatura che utilizzi come battuta/gag chiave la frase “Ho un ottimo rapporto con mia suocera: è morta”. Il mammismo è un problema urgentissimo, ed allora perché non sostenere il buon Sofri Jr. in questa grande impresa e comprare almeno una volta alla settimana Il Foglio, quotidiano di resistenza umana? Io ho già iniziato a farlo, e la prima copia sta già viaggiando l'Italia in treno, libera come una farfalla che volteggia su un prato in primavera. Un giornale di sole quattro pagine grondanti di fondi pubblici, che è stampato su carta vetrata e che ha nel pezzo di chiusura a cura di Maurizio Milani l'unico guizzo di classe e decenza non merita altro che una sorte del genere.

lunedì 6 ottobre 2008

Baby You Can Drive My Car / Yes I'm Gonna Be a Star

Sabato scorso non siamo riusciti ad essere presenti al White Out, e dunque niente consueta recensione-wrestling. Ma la colpa non è nostra.
Il motivo dell'assenza è molto semplice: avremmo dovuto essere accompagnati al locale dal nostro collega di redazione Pietrangelo Buttafuoco – l'uomo dai mille agganci e dalle mille entrate omaggio – ma la sua auto ha fatto le bizze e lo ha lasciato fermo a metà strada. Noi abbiamo dovuto per forza andarlo a recuperare, ed addio White Out, addio serata di gloria. Nessun boicottaggio, nessun vittimismo, ma solo il destino cinico e baro che non ha voluto che noi fossimo della partita.
Sarà per la prossima, ed intanto attendiamo con impazienza un report di Polaroid blog, una delle menti dietro al bel progetto.

sabato 4 ottobre 2008

Firestorm

La redazione di Spadrillas in da mist è in subbuglio. Il nuovo Direttore Cicciabomba Molto Intelligente pretende molto, e noi per ragioni varie ed eventuali non siamo in grado di fornire un contributo adeguato alla portata della causa. Andiamo in giro per locali, ma non riusciamo a metterci a sedere per scrivere il nostro pezzo. Tutti ci conoscono, tutti ci fermano e finisce la serata che non abbiamo scritto una riga di ciò che abbiamo vissuto. Triste a dirsi, ma è la verità.
Ma ora le cose cambiano, deve essere per forza così anche perchè altrimenti va a finire che ci sostituiscono con Andrea Marcenaro e Luca Sofri, sicuramente le penne di punta del giornale che solo incidentalmente ha il nostro stesso direttore. Tanto per dire, stasera saremo al White Out di Ferrara e seguiremo il grande evento. A Ferrara apre un locale nuovo, la città porta lo stesso nome del nostro Megadirettore, c'è Polaroid che suona e che manda avanti la baracca, c'è il fatto che finalmente anche a Ferrara è arrivato l'indie, e dunque noi non possiamo che seguire l'evento tramite recensione wrestling in tempo reale, grazie ai potentissimi mezzi che ci sono stati messi a disposizione dal nostro fido consulente Mario Scaramella.
Non avendo più nulla di interessante da dire ed essendo noi il vero organo della Convenzione per la Giustizia, diamo spazio all'angolo della polemica gratuita. Ieri sera l'ala liberal di Spadrillas in da mist è stata al Covo di Bologna. Sì, va bene, bel locale, l'hanno rifatto, ora le pareti sono di colore azzurro e poi c'era pure Pernazza che a Marina di Ravenna non si è fatto intervistare da noi e non abbiamo più il coraggio di chiederglielo di nuovo. Però come al solito al Covo c'è troppo fumo, e ad un certo punto della serata non respiri più e non ci vedi più niente. I cartelli che indicano il divieto di fumo sono assolutamente inutili, ed a questo punto esorto ogni avventore del locale che si rispetti a cogliere l'occasione al volo ed asportarli, conservandoli poi come ricordo/cimelio della serata. Visto che la gente fuma in barba ad ogni minima regola di civiltà e rispetto del prossimo, visto che nessuno dei nobilissimi gestori del locale fa nulla per impedirlo, se ne deduce che sono cartelli assolutamente inutili, e dunque il fatto che qualcuno li rubi non costituisce un grosso problema.
E non è un grosso problema nemmeno il fatto che io, tanto per fare il polemico a tutti i costi, ripubblichi un vecchio post riguardante l'argomento fumo/locali di aggregazione giovanile. È del 10 aprile 2008 ma è attualissimo, visto che nel frattempo è cambiato il governo, è cambiata la maggioranza parlamentare ma in una certa tipologia di locali la gente fuma ancora nonostante sia vietato. Se cerchi di impedirglielo ti dicono che sei fascista, però è tutta una balla colossale. Fascista è chi se ne sbatte degli altri. Fascista è chi vuol fare l'alternativo a tutti i costi anche a costo di non rispettare gli altro, chi pensa che per essere estranei alla massa di debba calpestare l'altrui diritto a non essere avvelenato. Questa cosa non mi sta bene, questa cosa è una forma di ribellismo da eliminare alla radice, a firestorm to purify. Sacconi pensaci tu.
Antagonista e me ne compiaccio, lo so non ti piaccio, pagliaccio di ghiaccio.

CHI FUMA AVVELENA ANCHE IL TUO BLOG, DIGLI DI SMETTERE
Pur avendo una larghissima maggioranza la destra ha governato malissimo per cinque anni. Non ha fatto nulla se non curare gli interessi dei soliti noti, e per giunta ha nascosto la sua sua inefficienza mediante una fitta cortina fumogena di giustificazioni puerili, riforme costituzionali polenta e osei, promesse reiterate, manovre bis e ter, bandane bianche, campagne denigratorie nei confronti degli avversari e finzioni rese come per incanto realtà grazie al potere assoluto del mezzo televisivo. Potrei aggiungere alla lunga lista anche “l'occhio attento e sveglio di Maurizio Gasparri che vigila sulla riforma del sistema radiotelevisivo” però non lo faccio: temo ritorsioni da parte dei ragazzi di Azione Giovani, sempre pronti ad accorrere in difesa del buon Maurizio (che saluto). E se accorrono quelli di Azione Giovani è la fine. Mi limito quindi solo a dire “una riforma del sistema radiotelevisivo non esente da critiche”, e vissero tutti felici e contenti.
Ma, se proprio devo salvare qualcosa in questo hellzappoppin' di politichetta fatta da dilettanti allo sbaraglio, senza ombra di dubbio io salvo il provvedimento riguardante il divieto di fumo nei locali pubblici. Mi costa molto ammetterlo ma è così, e lo ripeto quasi sottovoce, con una sorta di timore reverenziale: l'unico buon provvedimento che la destra ha approvato in cinque anni di governo è stato il divieto di fumo nei locali pubblici. Peccato solo che, soprattutto ai concerti, venga rispettato molto, molto raramente. La solita Italietta si vede anche (e soprattutto) da particolari come questo.
Sono tutto tranne che fascista, sono tutto tranne che reazionario, sono e sarò sempre per il rispetto delle libertà individuali, però non mi sta tanto bene soffrire le pene d'inferno perché la gente intorno a me vuole per forza fumare mentre io mi sto gustando in santa pace un concerto. Non mi sta bene dover uscire ogni tanto a respirare aria pura quando dovrebbero essere loro ad uscire a fumare. E non mi sta nemmeno tanto bene che la maggior parte dei locali continuino a tollerare una situazione del genere in nome di una pelosa forma di (presunto) alternativismo d'accatto – del tipo “chiudiamo un occhio altrimenti poi passiamo per gente di destra e la gente non viene più”.
È ora di finiamola, che non se ne può più di tutte quelle storie finte che si basano sui film. Dico basta agli occhi che lacrimano anche il giorno dopo, agli abiti che odorano di osteria numero sette, alla gola in simil-fibra di carbonio, all'aria al sapor di carbonchio. Chi fuma deve farlo all'aria aperta e non dentro al locale, anche solo per una semplice e civile forma di rispetto verso chi non fuma e non ha troppa voglia di respirare il fumo altrui. Interroghiamoci tutti su dove finisce la propria libertà e dove comincia quella degli altri, riflettiamoci sopra con saggezza ed insieme renderemo il mondo (un pochino) migliore. O, per lo meno, renderemo ancor più piacevole la visione di concerti et similia al sottoscritto. Fine della mia noiosa tiritera antitabagista.
Sto diventando il nuovo Luca Giurato, e non me ne rendo nemmeno conto.