In principio fu questo. Il principio della fine, la conclusione di un sogno di cambiamento & rivoluzione contro l’ordine precostituito delle cose, contro lo stato borghese, contro i falsi miti e la cultura reazionaria che fino ad allora aveva imperato in Italia.
Paolo Liguori, Giampiero Mughini, Adriano Sofri, Giovanni Lindo Ferretti.
Quattro ragazzi che credevano di cambiare il mondo, o almeno così raccontavano, quattro italiani col rock nella pelle che poi sono stati travolti dagli eventi e sono finiti su un palco di Sanremo a farsi intervistare da Pippo Baudo, il nemico che hanno combattuto per una vita in quanto simbolo di un certo modo nazional-popolare di intendere la cultura, un modello talmente vincente che dopo un lungo peregrinare ha finito per fagocitarli durante uno dei suoi più alti momenti auto-celebrativi. O forse un ritorno dei figlioli alla casa del padre, dopo il periodo “scapestrato”, perché non ci si crede che chi per anni ha professato un modo di vivere e pensare, possa poi sconfessarlo con un solo colpo di spugna (vedasi la premiata coppia Ferretti - Ferrara) davanti al sancta sanctorum che avevano sino a quel momento avversato.
RIPENSAMENTI - Però quella volta Liguori e Mughini non c’erano. Ufficialmente erano indisposti, sostituti rispettivamente da un passante pel di carota e da un cartonato recante le sembianze del Mughini stesso. Ma sotto c’era dell’altro, e tutti sapevano. Però nessuno parlava perché erano storie scomode, proibite, vietatissime. C’era chi diceva che non fossero ancora convinti che il vento era cambiato e chi diceva che avessero semplicemente deciso di non essere un ingranaggio della macchina per stampare denaro fresco, ma era tutto un depistaggio. Tanto è vero che a quella macchina hanno aderito talmente da farne parte ancora oggi. Ma siamo nati nel paese delle mezze verità e dunque come al solito la verità era un’altra.
ALMENO UNA COSA CHE SI SA - Il mistero di Sanremo era tutt’altro rispetto a un rigetto dovuto all’etica. Decisamente tutt’altro. Quella volta infatti Liguori e Mughini erano troppo fatti per salire su un palco. Tutti i maggiori esponenti di Lotta Continua avevano il vizio nasale e quella fu l’apoteosi. E proprio da tutto questo e da molto altro trae linfa vitale il documentario-shock Ho sniffato un milione di euro, opera nel quale Paolo Liguori decide di raccontare tutto dopo essere stato invitato in Colombia a toccare con mano il sordido mondo che gravita intorno a ciò che alimenta il suo (ormai superato) vizio nasale.
CAMBIARE IDEA - “Terrificante“, ha detto Paolo, “e pensare che una volta mi vantavo di spendere un milione di euro ogni anno”. Un signor documentario, un gigantesco spottone pro-Uribe, un microcosmo nel quale spicca la figura drammatica di Liguori, uomo che ha avuto il coraggio di cambiare e di raccontarsi per sconfiggere i propri demoni personali, persona normale che ha vizi e virtù come tutti noi ma che ha la capacità di trovarsi sempre al posto giusto al momento giusto. Sta male, soffre per emergere, soffre perché vede gli altri che se la tirano specchiandosi su di un elegante tavolino in vetro ma poi, come ogni buon ex Lotta Continua che si rispetti, riesce di nuovo a trovar modo di dire la sua su tutto lo scibile umano senza che nessuno abbia nulla da ridire. Senza che nessuno sospetti minimamente che Lotta Continua è stata solo un ascensore per il successo, un mezzo che serviva come mera copertura per altri fini molto diversi da quelli che venivano propagandati. Gente che voleva servire il popolo ed in un certo senso lo serve ancora, però stando dietro ad una scrivania di un giornale borghese o ad uno schermo televisivo - sempre e comunque in una posizione che garantisca la massima visibilità e la massima possibilità di soddisfare le proprie vanità personali.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento