E' in edicola il #200 di Rumore
En verità vi dico: oltre al pezzo di Andrea Pomini sul Festival della Sub Pop, a Maurizio Blatto che come al solito gigioneggia parlando dei Ministry (quelli con la Y, non quelli milanesi con la "I"vestiti per metà da Napoleone) e di Bo Diddley su Retropolis salvo il quasi nuovo acquisto Daniele Ferriero che parla del Supersonic fest e Raoul Duke perchè è amico di quelli di Solo Macello. Per il resto oltre a ciò e alla mia rubrica tutto è già stato detto e scritto. Cerati parla di Fratello Metallo, Mario Capanna dei Dirtbombs, Manuel Graziani della Tornado Ride Records di cui ho parlato io mesi fa (ma mi sa che pochi dei collaboratori di Rumore leggono interamente la rivista), altri scoprono Congorock dopo che ne ho parlato mesi fa io (e lui visto che non lo conoscono giustamente romanza sulla sua biografia dichiarando di "essere cresciuto in mezzo a rave illegali" mentre anche chi va con Carlo Pastore al Miami sa che Rocco più che altro è un panc che ha cambiato la sua chitarra con due piatti perchè si è stufato di una certa sinistra antagonista che poi ci fa perdere le elezioni).
Vi faccio un piacere e posto la mia rubrica di seguito, scrivete a Pomini, Blatto e Ferriero e chiedetegli di inviarvi il formato .doc dei loro pezzi e avrete risparmiato 5 euro. Togliete 5 euro dalla cifra che ho appena scritto e avrete il mio compenso finora percepito per i 24 mesi da collaboratore della rivista.
E non pensate che sia un furto alle opere di ingegno altrui se qualcuno mette in rete la mia rubrica. Offro io.
(In questo post non è possibile commentare perchè non siamo in democrazia)
In questa rubrica, per bene che mi vada, la vita è una noia sconfinata.
In questa rubrica, nulla, assolutamente nulla, riguarda la demokrazia.
Dunque, a tutti i critici musicali ganzi che non hanno paura né delle responsabilità né delle emozioni sconvolgenti, non rimane che rovesciare la redazione, eliminare il sistema dominante, istituire l’automazione completa e distruggere la critica musicale as we know it. In questo senso il varco aperto dal debordiano e debordante detournement dalla compagna Mara Poma-Cagol è un colpo al cuore al compromesso storico fra i vari partiti della fermezza e della trattativa che almeno da dieci anni a questa parte dividono e imperano nelle redazioni delle testate musicali italiche. La storia non si può fermare: come profetizzato dal visionario critico francese Jean Artur Compagnonì sul suo profetico blog (sniffinglucose.blogspot.com) la morte della critica musicale come la conosciamo è imminente.
Questa volta non è fiction: quelle che seguono sono le recensioni degli ultimi supporti fonografici decenti, poi la profezia della fine della storia della critica musicale si avvererà: in questo senso il mio ruolo dialettico (e dialettale) di avanguardia storica è esaurito. Ora sta alla leviatanica redazione prenderne atto e trasformare la rubrica in una sintesi di danza e militanza ganza. Per quel che mi riguarda dopo due anni passati a scrivere questa rubrica ho il vuoto nella testa, mi muovo poco e male, fuori da tempo e storia. Quello che verrà dopo solo Wikipedia lo può dire: il passato è afflosciato, il presente è un mercato: fatevi sotto e occhio agli spacciatori e occhio agli zuccherini, altrimenti farete la fine di Pippa Bacca. Neither Moscow nor Washigton, no east no west (e capello alla Joey Tempest come predica il Daniel Johnston dell’hip hop nostrano Metal Carter), lunga vita alla nuova carne e a Beatrice Finauro (myspace.com/tigearbea), muoia la figura del critico musicale part-time con tutti i filistei!
Visti gli scenari apocalittici che si delineano all’orizzonte non si può che iniziare con i sette squilli di tromba annuncianti carestia, guerra, Prurient e morte degli Slave Auction (myspace.com/slaveauction), progetto noise nato dall’incontro dei due intestatari dei soloproject Kirchner (myspace.com/isidoreducasse) ed Eugenio Maggi aka Cria Cuervos (myspace.com/sileat). Questa è gente che ha collaborato col sommo Maurizio Bianchi e che bazzica questi impervi terreni con Radical Matters, Werewolf Jerusalem…robba per tipi con lo stomaco forte insomma. Visto che oramai i Sunno))) sono stati sdoganati anche da XL osate ancora di più e provate ad affrontare gli allucinanti drones di questi due fuorisede di bolognesi atipici. Niente sole e divertimentu come nellu Salentu, questi sono soundystems che annunciano i combattimenti escatologici che porteranno alla fine della critica musicale e alla chiusura delle facoltà di Lettere e Filosofia e del DAMS, e in quanto tali vanno aprioristicamente apprezzati.
Giusto per fare riguadagnare un po’ di credibilità alla rivista I take the blame dicendovi che anche io sono caduto nella trappola del fake e ora faccio mea culpa: mi faccio la spia da solo, sono un cialtrone ripugnante come Fracchia. La recensione di Humpty Dumpty (myspace.com/dumptyhumpty) che scrissi nell’Aprile 2007 si basava sull’ascolto di un cd che quei velveteen underground dei Gringoise (myspace.com/gringoise) mi avevano situazionisticamente inviato sotto mentite spoglie. Tra l’altro, come un giornalista che si rispetti il disco non l’avevo neanche ascoltato, stroncandolo solo per il gusto di farlo. Ma il buon Alessandro Calzavara è uomo sicuro dei suoi mezzi e oltre a non aver denunciato il fattaccio al tempo mi ha pure mandato il suo secondo cd, Q.b. Faccio tesoro dell’esperienza e passo oltre i pregiudizi della forma con cui Humpty Dumpty decide di esprimersi: palesi le influenze, in questo concept album misogino che non è chiaro se poi lo sia davvero (cit.), del Turi di “Tutta Colpa delle Donne” e del Club Dogo (“Vecchi sottogretari, pezzi di Briatori cinquantasettenni”); l’unico passo falso è il dissing a Miss Violetta Beauregarde , figlio del myspace-lag (e manco a dirlo è il suo pezzo più clicckato: contrappasso o detournement?) e che francamente lascia il tempo che trova (ma c’è qualcuno che dissente, vedi la recensione dei minus habens di kronic.it che definiscono Sai Violetta “descrizione di una delle figure svampite di una generazione sempre più vuota”: che dire, complimenti al loro pusher di I-Doser). Per il resto le sue divagazioni low-fi spocchiose funzionano alla grande, praticamente come se i Baustelle diventassero improvvisamente simpatici: talmente serio da risultare faceto, talmente snob da risultare un populista che, come un Di Pietro dell’indie, riscuote consensi fra gli orfani di una certa critica militante. Ho disprezzato prima e ora compro, me ne rendo conto: lascio a voi il giudizio, il mio compito di avanguardia è quello di indicarvi il sendero luminoso. Ascoltare Humpty Dumpty per me è come l’America per Baudrillard: una forma spettacolare di amnesia, tutto da scoprire, tutto da cancellare. Love it (8) or leave it (3).
Gia il fatto che gli Eat The Rabbit (myspace.com/eattherabbit) raggiungano a malapena i sessanta anni in tre mi riconcilia con la musica suonata: basso e Korg sopra le righe a battere il tempo; batteria secca e adrenalinica, doppia voce screameggiante alla Blood Brothers periodo 31G (quindi senza raggiungere le vette da checche isteriche che hanno decretato l’inevitabile declino di una certa musica che esibiva la sassyness come garanzia di qualità), una insana passione per quel garage punk danzereccio e sbarazzino di scuola GSL dei tempi che furono…il tutto senza le pretese pseudo intellettalluoidi finto Beat Happening o le pallose ridondanze nowave (ma de che?) di gruppi a loro assimilabili e di cui taccio il nome perché questo mese sono magnanimo. E se Moz giustamente ascoltando le Amavo o i Dada Swing ha perso la sua fiducia nella womanhood questi Pretty boys coi loro quindici minuti di musica fanno buche e mi ridanno fiducia nella brotherhood: se gli Youth of Today avessero ammesso la loro palese omosessualità oggi suonerebbero così. Li vedrei bene su una etichetta yankee minore ma cool, tipo
Dovessi fare un dj set in spiaggia un giorno di fine dell’estate metterei all’inizio gli Eat The Rabbit e in chiusura i kindergarten beats dei French Fries (myspace.com/havefrenchfries), duo violino-chitarre-laptop (no: non sono simili ai My Awesome Mixtape) da Pesaro, per quel che riguarda città oramai a marchio DOC. Il loro cd è da ascoltare quando in spiaggia gli ombrelloni non ce ne sono più; è un the sound dei gabbiani che arrivano in città to come (giurerei tra l’altro che qualche effetto di synth citi Giuni Russo e/o i Righeira). Paraculi e pop nel senso positivo del termine, anche quando provano sperimentazioni più ardite: se non è un buon segnale questo…ecco come giocare con le onde trendy dell’elettronica a bassa fedeltà senza esserne travolti. In attesa che dalle scuole materne i loro battiti crescano e diventino adulti (8) pieno per loro.
Chiudo con i White Pagoda (myspace.com/whitepagoda) che, lo dico tranquillamente, ottengono la recensione per l’insistenza e per l’humiltè dimostrata oltre che per la pochezza degli altri cento cd che mai ascolterò e che prendono la polvere sugli scaffali. Il più classico dei cd “tre accordi e via andare” che non può che valergli, per la scarsa novità della proposta un (6) che però vale molto di più: vuoi perché viviamo in una ice age in cui è diventato facile rendere indigesto anche il verbo Devoto (nel senso Howardiano del termine) dei fratellini newyorkesi, vuoi perchè la necrofilia musicale non va sanzionata se produce i risultati raggiunti dai venti minuti passati seduti sul sofà in fiamme dei potenti poppers toscani…e per questo mese è quanto.
Un occhio al santino di (Net Wet) Kojak e uno al vostro drink forte e vigoroso prima di uscire
Voster semper Voster,
Er-P